La lezione dei no global

di CURZIO MALTESE

La telefonata di Vito di Indymedia arrivò poco prima di mezzanotte di domenica. “Corri, perché qui alla scuola Diaz stanno facendo un massacro”. Nessuno aveva voglia di credergli. Eravamo a cena a Castelletto, la collina di Genova dove, secondo una splendida poesia di Caproni, si prende l’ascensore per il Paradiso. Un risarcimento, dopo quattro giorni d’inferno, violenza, rabbia e impotenza. L’aria dolce e fresca della collina, il vino bianco gelido per consolare la gola bruciata dai lacrimogeni. Però andiamo lo stesso, prendiamo l’ascensore da Castelletto all’inferno della Diaz, dove la storia è anche peggiore delle parole di Vito.

La scena che si presenta è la materializzazione dei peggiori incubi della nostra adolescenza. Elicotteri che volano bassi, assordanti, con i fari sparati sugli occhi, senz’altra ragione che simulare una guerra. Cordoni di poliziotti che spingono, premono, provocano, cercano ogni occasione buona per lo scontro. Cerchiamo di entrare nella Diaz sventolando il tesserino da giornalisti, ma davanti ai nostri occhi piove una manganellata sul deputato verde Cento, che mostrava addirittura il cartellino di parlamentare. Hanno avuto l’ordine di non far passare nessuno a nessun costo ed è un ordine che gli piace tanto. Si resta fuori a guardare increduli la scena cilena dei ragazzi portati via in barella, coperti di sangue, rantolanti verso le ambulanze. Fino a notte fonda, quando fanno entrare per vedere i resti della macelleria in quelle aule per bambini.

Quando si ripensa a Genova 2001 le prime cose che vengono in mente sono l’incredulità, la vergogna, l’indignazione di vedere dopo tanti anni un vero fascismo in azione, sotto il marchio dello Stato democratico. Ricordo la mattina del venerdì passata sulla terrazza dell’hotel President, la più alta di Genova, a osservare l’assurda strategia della polizia. I Black bloc attaccano oltre il ponte della ferrovia, ma le forze dell’ordine li ignorano e preferiscono scagliarsi con cariche e lacrimogeni contro il corteo autorizzato di via Tolemaide. Nell’inchiesta diranno che si erano sbagliati perché non conoscevano la città: un albi da impuniti. Nel pomeriggio l’assassinio di Carlo Giuliani e il delirio di piazza Alimonda, il tentativo di attribuire la morte ai suoi compagni: “Siete stati voi a ucciderlo, bastardi, con le vostre pietre”. Per un momento ci ho creduto perfino io.

La sera, i ragazzi presi a manganellate o caricati sulle camionette soltanto perché avevano un’aria “di sinistra”. Infine, la vergogna del sabato, con il grande corteo pacifico schiacciato dai reparti di polizia e io che mi ritrovo sugli scogli sotto Boccadasse, in compagnia del regista Mario Martone, a domandarsi che diavolo è successo, mentre i gommoni militari sono già pronti a giocare allo sbarco dei marines.
Dieci anni dopo si ricorda ancora questa vergogna di giornate che furono anche gloriose, importanti, ricche di idee. Parlare con le mille associazioni arrivate a Genova di acqua e globalizzazione, mercati finanziari e agricoltura, aveva significato la riscoperta di una politica vera, alta, lungimirante.

Il decennio seguito al 2001 si è incaricato di dar ragione al movimento nato fra Seattle e Genova su tutti i fronti. Gli ultimi G8 hanno adottato nei documenti finali le idee per cui quei ragazzi della Diaz e delle strade di Genova venivano presi a manganellate e portati nella caserma di Bolzaneto. Con un programma incentrato sulla green economy invocata dal popolo di Seattle fra i lacrimogeni, Obama otterrà il più largo mandato della storia dei presidenti americani. Perfino gli ultimi referendum vinti con un plebiscito sull’acqua pubblica e il nucleare sono figli di quel movimento e di quelle giornate, ed è un paradosso che a promuoverli sia stato proprio Antonio Di Pietro, che all’epoca prese in blocco le difese dell’azione criminale delle forze dell’ordine, senza se e senza ma, e impedì la creazione di una commissione parlamentare sui fatti del G8, votando con Berlusconi e la Lega. Nel frattempo sono diventati “no global” anche i vescovi e Giulio Tremonti.

Capita di rado in politica di assistere a uno scontro dove il torto e la ragione sono nettamente separati in due campi. Genova 2001 fu questo, ma si risolse in una lunga vittoria della cattiva politica sulla buona. La criminalizzazione dei manifestanti, sui media controllati, spianò la strada al decennio peggiore della nostra vita, al trionfo della politica del malaffare e del conflitto d’interessi, al regno del berlusconismo senza limiti. Soltanto adesso, dopo i colpi della crisi internazionale, a un passo dalla bancarotta del Paese, la buona politica comincia a risollevare la testa.

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