Ti scrivo mio caro compagno di tante battaglie, perché poco tempo fa ho riscoperto cosa può significare questo meraviglioso sport. I ricordi del calcio di casa nostra costruito sul denaro, sui giochi di potere e su una competizione che alla fine ha poco di sportivo, mi avevano fatto dimenticare quello che per me era stato parte della mia vita.
Nella comunità di Las Peñitas, con un docente della UNAN (Oscar) e alcuni studenti dell’università, abbiamo iniziato a sviluppare un programma di educazione ambientale. Parallelamente era stata pensata un’attività sportiva e in accordo con i bambini della comunità venne scelto il calcio. Iniziò così, come un’attività ricreativa. Non era un allenamento, ma solamente uno svago. Prendevamo quattro ciabatte per fare due porte e l’unico pallone disponibile e iniziavano a giocare senza che il tempo suggerisse loro quando smettere. Grazie a dei contatti, Oscar ed io organizzammo una partita contro la squadra attrezzata di Leon. Era arrivato il momento di fare una vero incontro. I niños de Las Peñitas che frequentano il corso di educazione ambientale hanno tra gli 11 e i 13 anni, qualcuno ha le scarpe, qualcuno un pallone mezzo sgonfio, ma la maggior parte ha una voglia matta di giocare.
Ci dirigemmo così con un camion della UNAN carico di bambini pronti a vendere cara la pelle, di amiche e amici pronti a sostenere l’equipo e da qualche genitore disposto nel gestire al meglio questo gruppo di sbandati. Arrivati all’impianto sportivo, che non aveva niente da invidiare al Picchi di Livorno, gli occhi dei piccoli temerari de Las Peñitas si illuminarono di felicità. Tutti volevano partecipare a quella giornata, sia chi non aveva le scarpe , sia chi non aveva pantaloncini ma bensì lunghi e pesanti jeans. Da una parte la super squadra organizzata, dall’altra una vera armata brancaleone. Il campo era bellissimo, ma forse troppo grande per una squadra come la nostra che non aveva nessuna idea di come stare sul rettangolo di gioco. Per quasi tutti gli 80 minuti non superammo la metà campo, ma tutti lottarono come non mai. Risultato finale 5 a 1 per il Leòn…ma quel gol non puoi immaginare quanto incise sul loro entusiasmo.
Volevano rigiocarla. E questa volta a Las Peñitas. La comunità che si affaccia sul Pacifico, la comunità che ha le case con il tetto di paglia e il pavimento di sabbia, la comunità che non ha un campetto dove poter giocare. Dovevamo organizzarci. La partita era fissata per le tre del pomeriggio. Il ritrovo nostro era fissato alle 11 di mattina. Penserai … per cosa? Per mangiare tutti insieme? Per preparare la partita?….No no, solamente per preparare il campo. Mancava tutto. Ma alle undici non mancava nessuno. Tutti presenti. Scegliemmo un possibile spazio per il terreno da gioco vicino al delta del Rio Chiquito. In quelle ore la bassa marea ci permetteva di avere una superficie perfettamente livellata e di sabbia dura. Andava solamente ripulita da sassi, alghe e residui di vario genere.
Dopo aver preso le varie misure del campo, servendoci delle sole gambe, marcato il tutto con la calce tirata dalle piccole abili mani dei bambini ed infine, poste le porte prestate dal padrone di una camaronera (impresa che alleva gamberi), il risultato aveva dell’incredibile. Un perfetto campetto a 8, con perfino le bandierine piantate agli angoli, realizzate con dei pezzi di legno e con buste di plastica colorate che il vento riusciva ad animare.
Alle 15 tutto era pronto. Ecco che arriva la squadra di Leon con due bellissimi pulmini gialli. Intanto la gente della comunità iniziava ad arrivare al campetto. Scesero dai loro pulmini i giocatori viziati da scarpette firmate, magliette adeguate e pantaloncini abbinati e da una buona dose di presunzione. Anche i bimbi di Las Peñitas si erano però ben organizzati. Infatti tutti avevano le scarpe. Non certo le scarpette da gioco. Solo qualcuno le indossava. Poi c’era chi portava le scarpe del padre o del fratello maggiore, chi le scarpe mangiate dal tempo e dal sale. Intanto intorno al campo la gente occupava quasi l’intero perimetro di gioco. L’atmosfera era surreale e l’energia che si riusciva a percepire era di festa e spensieratezza. Iniziata la partita, le grida di entusiasmo e divertimento della gente erano qualcosa di unico, qualcosa che le mie orecchie non erano abituate ad ascoltare. Ed unica era la determinazione di questa armata brancaleone, che faceva di tutto per fronteggiare l’avversario.
Passati appena 10 minuti, Leòn aveva già segnato un gol. A questo punto successe una cosa fino a quel momento per me inimmaginabile. I piccoli giocatori de Las Peñitas iniziarono uno ad uno a togliersi le scarpe e rientrare in campo a piedi nudi. Quasi tutti erano scalzi, contro avversari che avevano scarpette Nike e parastinchi. Da quel momento e’ stata una gioia e uno spettacolo vederli giocare. La rete di passaggi che riuscivano a costruire non so con quale logica e un’invidiabile determinazione, costrinsero l’avversario solamente a difendersi. Azioni ben congeniate, recuperi difensivi e numerosissimi tiri in porta animarono la partita e la giornata dell’intera comunità.
Com’era possibile che giocassero così bene!!! Nessuno gli aveva insegnato le cose basilari. Il risultato finale non cambiò, ma credimi che la giornata fu per tutti indimenticabile. Ora vorrebbero allenarsi, imparare e migliorare. Vogliono battere Leòn. Se troveremo risorse e tempo, penso proprio che riusciranno a realizzare il loro piccolo grande sogno.
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